Io volevo raccontare una storia d’amore. L’ho sempre voluto fare e finalmente mi è capitata tra capo e collo.
Verona e il vino, si amano alla follia da secoli ma hanno suggellato la loro promessa d’amore da poco e quest’anno festeggiano le nozze d’oro con un super party meglio conosciuto come Vinitaly.
Due parole sulla più importante manifestazione mondiale, si ho scritto mondiale, dedicata all’industria del vino le vogliamo fare?
Beh, vi basti sapere che se volete far roteare i bicchieri in fiera a Verona, dal 10 al 13 aprile, dovete sacrificare qualche risparmio perchè quest’anno i partecipanti sono selezionatissimi.
Quando si entra al Vinitaly bisogna avere un piano d’azione: ci sono quattromila (quattro zero zero zero!) espositori e a meno che non abbiate già programmato un trapianto di fegato per il giorno successivo vi sconsiglio di fare una staffetta alcolica in poco meno di 10 ore.
Ma c’è qualcosa che vi consiglio di fare almeno per una volta, in questa manifestazione grandiosa e cioè di non ammassarvi davanti a giga power stand di Donnafugata, piuttosto che Masi o Sartori ochessoio, nella speranza di ubriacarvi senza capire un emerito nulla di quello che state bevendo.
C’è una cosa estremamente affascinante del vino e della sua produzione, ed è la rete sconfinatamente larga di piccoli produttori che immettono sul mercato dalle 10.000 alle 50.000 bottiglie l’anno.
Sono storie personali, famigliari, umane, che finiscono dentro una bottiglia, insieme a sogni, progetti e passione.
Questo lo so, perché qualcuna l’ho conosciuta anch’io: c’è Elena, figlia di un padre vignaiolo che però non voleva che la figlia facesse il vino ma la segretaria e che ha invece fatto sorgere Terre di Pietra, una cantina da cui escono vini proprio come lei: decisi, forti e coraggiosi.
C’è poi Villa Calicantus, che produce solo biologico e adesso anche biodinamico e che ha presentato un bardolino sorprendente, corposo come un Valpolicella classico, con etichette scritte a mano col pennarello, come mio nonno quando se lo faceva in casa il bardolino perché lui faceva l’assicuratore nella vita.
E poi c’è Villa Crine, che arriva a 30mila bottiglie ma che quest’anno si è accaparrata il primo premio al palio del recioto. Quella di Villa Crine è una storia estremamente romantica o probabilmente è Giuseppe, la quinta generazione, che la fa sembrare tale. Lui d’altra parte, prima di diventare vignaiolo come il padre, voleva fare l’attore. E ci sarebbe riuscito, di certo.
Ho avuto, un po’ emozionata, la fortuna di vederlo seduto davanti a me a raccontare la storia della sua famiglia, che comincia nel lontano 1890 con il trisavolo Giovanni. Ma se anche gli aneddoti del Vinitaly di una volta (si chiamava Esposizione e Fiera di Vini e Liquori) e dell’occupazione tedesca hanno il oro fascino, quello che davvero mi piace da morire è il presente e la storia di Villa Crine oggi.
E sapete chi è davvero sorprendente? Il padre di Giuseppe, Giovanni Battista. Dal nulla ha deciso di smettere col vino sfuso e di cominciare ad imbottigliare, nel 2005. Lui il vino lo sa fare, io lo so, l’ho bevuto. E alla domanda “dove ha imparato a fare il vino tuo padre?” la risposta di Joe (che sarebbe Giuseppe, ma che chiamerò Joe fino alla fine perchè si abbina ai suoi baffetti da gentleman) è stata semplice:
“Nessuno gli ha insegnato. Lo sa e basta”.
Che meraviglia. Ho sorriso, non potevo farne a meno. Ma questo merita una riflessione, che io ho sempre fatto dentro di me e cioè che l’agricoltore è un artista. Niente di meno, niente di più. Dal grano alle mele, dai piselli all’uva, l’agricoltore che ha il talento lo sa fare e basta. E anche Joe sta camminando sui passi di suo padre. Mi racconta di come la vita dell’agricoltore non sia una vita di rinunce ma di soddisfazioni: “Tu dai la vita. Porti la barbatella (il cucciolo di vite nda.) a diventare un adulto, una vita compiuta. è come una figlia per te che l’hai curata col sole o con la pioggia e il vento. E poi, ci sono passati tutti gli uomini, siamo sempre stati agricoltori. È vero, è un lavoro che non ti risparmia perchè la natura ha i suoi ritmi e tu ti devi adattare, lei fa il suo corso e se non lo segui sei fottuto. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca no? Noi ci dedichiamo interamente alla nostra attività, con dedizione, con passione.”
A Joe piace pensare che stravolgendo completamente un frutto, puoi creare qualcosa di irripetibile. È questo che fa di queste piccole cantine dei gioielli. Creano prodotti irripetibili e non standardizzati.
Ma qui parliamo di vignaioli veri, indipendenti in questo caso, perchè loro fanno parte della FIVI (Padiglione 8 andateli a trovare!!) e vi rimando a questo linkino super easy Joe mi dice che anche loro ne fanno parte perché “sono improntati sulla naturalezza delle cose”. Ma soprattutto, sono gli indie della situazione, ovvero, almeno Villa Crine (e questo per me è sorprendentemente figo) non ha una politica di marketing. Vendono a privati e direttamente tramite conoscenti e amici, anche all’estero. Un passaparola di quelli come quando non esistevano facebook e le agenzie di marketing e nemmeno la pubblicità. Loro fanno rete.
Il profumo di Giuseppe riempie la stanza, mentre mi parla della sua passione per la storia e l’archeologia. Nella biblioteca della villa cinquecentesca dove lavoro, lui mi ha tradotto i numeri romani scritti sui libri antichi, in cifre che potessi comprendere. Il suo mito è Indiana Jones, scusate.
Le bollicine salgono dal fondo del bicchiere di prosecco che ci siamo concessi per l’intervista. D’altra parte, mica si poteva bere acqua. E io penso, sorpresa dall’emozione che le tante storie di Giuseppe mi hanno provocato, che il vino e Verona si amano davvero tanto. E che il vino e l’Italia si amano anche di più. Ma più il pensiero si approfondisce, più scopro che ogni essere umano ha una storia d’amore personale col vino, anche mia madre, che pur non beve molto.
Domani 50 anni di Vinitaly. Slowfood suggerisce questo, io non ci sarò ma lo respirerò ovunque. Per chi di voi avrà la fortuna di esserci, cercate Villa Crine, Terre di Pietra, la FIVI, i vini biologici, i piccoli produttori.
Alla vostra. E a chi crede nei grandi sogni, pur essendo piccolo.
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